giovedì 29 marzo 2007

Campi elettromagnetici e rischi per la salute umana

Dr. Polichetti esiste un solo tipo di campi elettromagnetici o ve ne sono diversi?

Ne esistono molti. Quelli con una maggiore frequenza, come le radiazioni ionizzanti, quelle ultraviolette, la luce visibile e la radiazione infrarossa. Esistono poi i campi elettromagnetici caratterizzati da frequenze inferiori a 3000 GHz, cioè quelli non ionizzanti e non ottici. Tali campi vengono poi ulteriormente classificati come campi magnetici a frequenze estremamente basse: l' Extremely Low Frequencies (ELF,), non superiori a 300 Hz, e campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde (RF/MO) a frequenze superiori. I primi (50 Hz in Italia e nella maggior parte del mondo, 60 Hz negli USA e in altri Paesi) sono generati da linee elettriche per il trasporto dell'energia elettrica e da ogni dispositivo alimentato da rete . I campi a RF sono, invece, quelli generati per esempio da antenne radiotelevisive e telefoni cellulari. Il nostro progetto "Salute e campi elettromagnetici" è rivolto appunto alla comunicazione dei rischi dei campi elettromagnetici caratterizzati da frequenze inferiori a 300 GHz, cioè dei campi ELF e a RF.

E quali sono i rischi nel breve periodo per l'uomo che si espone alle frequenze dei campi ELF?

Nel breve periodo possiamo praticamente escludere che i campi ELF mettano in pericolo la salute umana. Infatti, gli effetti di questi campi consistono principalmente nella stimolazione dei tessuti muscolari e nervosi (eccitabili elettricamente), e possono rappresentare rischi per la salute solo quando la densità della corrente elettrica indotta all'interno del corpo dal campo esterno supera una soglia di circa 100 mA/m2, valore raggiungibile a fronte di esposizioni a campi a 50 Hz dell'ordine delle centinaia di kilovolt/metro per quanto riguarda il campo elettrico e di qualche millitesla per quanto riguarda l'induzione magnetica, (ipoteticamente quando si infila una mano bagnata nella presa della corrente elettrica). Altrimenti, la natura "a soglia" dei rischi sanitari a breve termine dei campi elettrici e magnetici ELF prevede un sistema di protezione che, imponendo delle restrizioni di base sulla densità di corrente, permette di eliminare completamente la possibilità di questi effetti. Tali restrizioni di base incorporano un fattore di protezione 10 per i lavoratori e di 50 per la popolazione generale. Si tratta di valori così elevati rispetto a quelli riscontrabili nei normali ambienti di vita e di lavoro che la possibilità di rischi a breve termine, quando ad esempio si sta davanti un elettrodomestico a casa o a un computer in ufficio, è praticamente da escludersi.

E invece nel lungo periodo?

Il discorso è in questo caso diverso. Pur non esistendo al momento alcuna relazione di causa-effetto tra esposizione per lunghi periodi ai campi ELF e insorgenza di alcune malattie, in particolare tumori cerebrali e leucemie infantili, alcuni studi epidemiologici indicano tuttavia un'associazione. In particolare, l'indagine sugli effetti a lungo termine dei campi ELF si è sviluppata lungo le tre direzioni complementari della ricerca sperimentale in vitro su campioni cellulari, della ricerca sperimentale in vivo su animali di laboratorio e della ricerca epidemiologica, di natura osservazionale, che ha come oggetto d'indagine direttamente l'uomo.

Cosa hanno evidenziato questo tipo di ricerche?

L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha esaminato nel 2001 le evidenze scientifiche, sia sperimentali che epidemiologiche, relative alla cancerogenicità dei campi elettrici e magnetici alle frequenze ELF. Le evidenze di cancerogenicità dei campi elettrici ELF sono state giudicate "inadeguate" dalla IARC, così come le evidenze epidemiologiche relative all'associazione dei campi magnetici ELF con tutte le patologie tumorali negli adulti e con quelle differenti dalla leucemia nei bambini. Diverso il discorso per l'associazione tra la leucemia infantile e le esposizioni residenziali ai campi magnetici. In questo caso l'evidenza scientifica non è risultata del tutto negativa, ma "limitata", è stato espresso cioè un giudizio intermedio tra quello di evidenza "inadeguata" ed evidenza "sufficiente". Tuttavia, proprio perché si tratta di un'associazione riportata da studi epidemiologici, non è possibile escludere altre spiegazioni dell'associazione osservata, quali possibili fattori di confondimento, distorsioni relative al reclutamento dei soggetti studiati (bias di selezione), o problemi nella valutazione dell'esposizione che spesso è avvenuta anni prima che venisse effettuato lo studio. Per questo motivo, e per il fatto che la ricerca sperimentale non ha fornito elementi a sostegno della cancerogenicità dei campi magnetici mediante studi su animali, la IARC ha classificato i campi magnetici ELF solo come "possibilmente cancerogeni per l'uomo", escludendo quindi un'associazione certa o anche solo probabile.

E per quanto concerne i campi a RF?

In parallelo al rapido sviluppo della telefonia mobile, è aumentato anche l'impegno della ricerca in tutto il mondo, ma particolarmente in Europa, grazie anche agli importanti contributi dell'Unione Europea nell'ambito del Quinto e Sesto Programmi Quadro. La maggior parte dei progetti Europei riguarda esposizioni a RF nelle bande di frequenza utilizzate per la telefonia mobile, in sistemi sperimentali di valutazione della cancerogenesi (PERFORM-A), co-cancerogenesi (CEMFEC), genotossicità (REFLEX), effetti sul sistema uditivo delle tecnologie GSM (GUARD) o UMTS (EMFnEAR) ed effetti sul sistema nervoso (RAMP 2001). Merita di essere segnalato, inoltre, il programma di ricerca (PERFORM-B).

Cosa hanno mostrato questi progetti?

Gli studi su animali non hanno prodotto evidenze consistenti con l'ipotesi che l'esposizione a RF comporti induzione di neoplasie, aggravi l'effetto dell'esposizione a cancerogeni noti, o acceleri lo sviluppo di tumori trapiantati, né che sia in grado di indurre effetti genotossici in vivo. Non vi sono consistenti indicazioni dalla ricerca in vitro che i campi a RF a livelli non-termici di esposizione comportino effetti sulla regolazione del ciclo cellulare, sulla proliferazione, sulla differenziazione, o sull'apoptosi.

E per quanto concerne invece gli effetti sull'uomo?

Studi osservazionali e sperimentali non hanno fornito supporto all'ipotesi di un'associazione tra esposizione a RF ed insorgenza di sintomi neurovegetativi, a volte indicati come "ipersensibilità ai campi elettromagnetici". Studi su possibili effetti neurologici o riproduttivi non hanno indicato rischi sanitari per livelli di esposizione inferiori ai limiti raccomandati internazionalmente; tuttavia, per malattie diverse dai tumori sono attualmente disponibili pochi dati epidemiologici.

Sono state condotte ricerche epidemiologiche focalizzate sul rischio di tumori in relazione all'uso del cellulare tra gli adulti?

Alcuni studi sono stati condotti dal 1999 fino all'inizio del 2006: un primo gruppo di studi ha analizzato i trend temporali di incidenza dei tumori cerebrali o dei melanomi oculari in relazione alla diffusione dell'uso dei telefoni cellulari, senza osservare correlazioni tra i due fenomeni. Due studi di coorte sono stati condotti su titolari di un contratto di telefonia mobile. Il primo, negli Stati Uniti, è stato precocemente interrotto dopo un solo anno di follow-up, mentre il secondo, realizzato in Danimarca ha dato finora luogo a due analisi, relative a latenze medie di circa 3 e 8,5 anni. Nel recente aggiornamento del follow-up della coorte danese non è stato evidenziato alcun incremento di rischio per tumori intracranici (né separatamente per gliomi, meningioma o neurinomi del nervo acustico), né per tumori della parotide, né per leucemia. In una meta-analisi dei risultati di 12 studi (prevalentemente di tipo caso-controllo) pubblicati entro la fine del 2005 e relativi all'incidenza di tumori intracranici in relazione all'uso del cellulare per durate uguali o superiori ai 5 anni, non si osservavano eccessi di rischio per l'insieme dei tumori intracranici o per gliomi, meningiomi e neurinomi del nervo acustico, né sono emersi indicazioni di eccessi di rischio in relazione al tipo di cellulare utilizzato (analogici o digitali) o per particolari localizzazioni intracraniche delle neoplasie (tumori temporali o occipitali).

Esiste in questo ambito uno studio internazionale dedicato ai possibili rischi dell'uso del telefono cellulare?

Si. Si tratta dello studio INTERPHONE, al cui aderisono 13 centri nazionali. Sei di questi (Danimarca, Germania, Giappone, Norvegia, Svezia e Inghilterra) hanno già pubblicato analisi a base nazionale sul rischio di tumori intracranici o della parotide e uso del cellulare; inoltre, sono anche state pubblicate analisi combinate di sottoinsiemi di risultati. Nell'analisi combinata degli studi sui neurinomi del nervo acustico condotti in 6 centri Nord-Europei partecipanti ad INTERPHONE sono stati inclusi 678 casi e 3553 controlli. Non si osservavano incrementi di rischio in relazione all'uso regolare del cellulare, né associazioni del rischio con la durata d'uso, il numero di telefonate cumulative, le ore cumulative d'uso. Nel sottogruppo degli utilizzatori di lunga durata (10 anni o più) si è notato, invece, un incremento del rischio per tumori ipsilaterali rispetto all'uso dichiarato del cellulare, d'incerta interpretazione in quanto accompagnato ad un deficit di tumori ipsilaterali tra gli utilizzatori con durata d'uso minore. Nell'analisi combinata degli studi sui gliomi condotti in 5 centri Nord-Europei partecipanti ad INTERPHONE, a fronte della completa mancanza di associazione con l'uso regolare del cellulare, con la durata totale d'uso, il tempo trascorso dall'inizio d'uso e l'intensità d'uso, si è osservato un aumento del rischio al limite della significatività statistica tra gli utilizzatori di lunga durata (oltre 10 anni) per tumori ipsilaterali.

Quali sono le evidenze attualmente a disposizione sull'uso del cellulare?

In conclusione, l'insieme dell'evidenza epidemiologica indica che l'uso del telefono cellulare per durate inferiori ai 10 anni non comporta incrementi del rischio di tumori cerebrali o di neurinomi del nervo acustico; per quanto riguarda durate d'uso più elevate, i dati sono scarsi e le conclusioni sono di conseguenza incerte e preliminari. Restano aperti diversi problemi interpretativi di questa prima generazione di studi sulla relazione tra uso del cellulare e rischio di tumori negli organi e tessuti in maggiore contiguità con l'antenna dei cellulari. In particolare non è chiara la corrispondenza tra gli indicatori di uso del cellulare sinora utilizzati (durata della titolarità di un contratto di telefonia mobile negli studi di coorte e intensità d'uso riferita dal soggetto negli studi caso-controllo) e dose di RF a livello degli organi d'interesse.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Argomento interessante e con ricerche in continua evoluzione. Se hai novità tienici informati!